Nel 1959 fu pubblicata la prima edizione italiana di un libro che avrebbe influenzato in maniera estremamente significativa il pensiero della psicologia (e non solo), soprattutto del filone empirico e fenomenologico della psicologia. Sto parlando de “Il principio Dialogico” di Martin Buber, un filosofo, teologo e pedagogista austriaco, naturalizzato israeliano e uno dei rappresentanti più importanti del movimento ebraico hassidim. Il libro è uscito in Italia nel 1959, ma la versione originale fu scritta da Buber nel 1923, quindi stiamo parlando di un testo che ha già quasi un secolo di storia. Voglio parlare di questo libro, quindi, non certamente per farne una recensione, quanto perché le riflessioni di Buber aprono ad una conoscenza che non ha tempo, e che tocca l’essenza profonda della natura umana e della sua modalità di esistenza.

Il libro di Buber inizia con le testuali parole:

“Il mondo ha, per l’uomo, due volti, a seconda del suo duplice atteggiamento. L’atteggiamento dell’uomo è duplice per la duplicità delle parole fondamentali che egli dice. Le parole fondamentali non sono singole, ma sono coppie di parole. Una delle parole fondamentali è la coppia “Io-Tu”; l’altra coppia fondamentale è la coppia “Io-Esso”, dove, al posto dell’Esso, si possono anche sostituire le parole Lui o Lei, senza che la parola fondamentale cambi”.

Già in queste righe, con cui inizia il libro, Buber introduce il primo pilastro fondamentale del suo pensiero, ovvero che il mondo non ha un volto solo: il mondo ha più volti a seconda del tipo di atteggiamento con il quale l’essere umano si approccia. Quindi, secondo Buber, il mondo non è qualcosa di unico e fisso, ma dipende dal nostro atteggiamento e quindi dal modo con cui guardiamo al mondo. Questo concetto veniva confermato, nello stesso periodo in cui Buber scriveva, dagli studi della fisica quantistica evidenziando come l’osservatore influenzi ciò che viene osservato.

La cosa interessante è che Buber specifica che il mondo può essere diverso a seconda delle “parole” che utilizziamo, e specifica quanto il tipo di parola che utilizziamo, si riferisca, di fatto, al tipo di atteggiamento che abbiamo nei confronti del nostro interlocutore: queste parole sono sostanzialmente due, e descrivono i due atteggiamenti fondamentali con cui possiamo rivolgerci all’altro, o al mondo: come “Tu”, o come “Esso”.

Quando ci rivolgiamo dicendo intimamente “Tu”, significa che riconosciamo la natura vivente e soggettiva dell’altro; quando diciamo intimamente “Esso”, invece, ci rivolgiamo come ad un oggetto – come ad una cosa – e quando, nella fattispecie, si tratta di un altro individuo ci rivolgiamo come a un “Lui” o “Lei”, ma il significato non cambia: ci rivolgiamo come ad un oggetto, come ad una cosa. L’essere umano, quindi, ha due possibilità: può rivolgersi al mondo come se fosse un oggetto oppure può rivolgersi al mondo riconoscendo la sua natura animata e vivente; e così il mondo prenderà un volto differente: il mondo può avere due volti, a seconda dell’atteggiamento con cui l’essere umano si pone di fronte al mondo, o all’altro.

Questo primo pilastro è determinante; è un punto di partenza fondamentale perché riconosce un potere incredibile all’essere umano; riconosce la scintilla creativa: cioè il volto del mondo dipende da come ognuno si pone nei suoi confronti. Questo è fondamentale perché ci dà un’alternativa alla posizione dell’essere umano come vittima. L’atteggiamento con cui ci poniamo nei confronti del mondo determina la qualità della nostra vita. La vita che ognuno vive, quindi, non è prestabilita, ma è strettamente in relazione con la propria intenzionalità.

Ma poi c’è un secondo passaggio, un secondo pilastro fondamentale. Buber continua dicendo:

 “E così anche l’Io dell’uomo è duplice, perché l’Io della parola fondamentale Io-Tu è diverso da quello della parola fondamentale Io-Esso. Non c’è alcun Io in sé, ma solo l’Io della parola fondamentale Io-Tu e l’Io della parola fondamentale Io-Esso. Quando l’uomo dice Io, intende uno dei due. Quando dice Io è presente l’Io che egli intende; anche se dice Tu o Esso è presente l’io dell’una o dell’altra parola fondamentale”.

Con queste considerazioni, Buber, oltre al potere dell’intenzionalità, riconosce anche la profonda natura polare dell’esperienza; le parole non sono singole, ma sono coppie di parole: cioè, come dire, ogni medaglia ha due lati. Come il mondo non è sempre lo stesso, così anche io non sono sempre lo stesso: cioè se mi rivolgo ad un interlocutore in un modo, l’Io che sono è l’Io che si accoppia con la parola che uso per rivolgermi all’interlocutore (che è duplice) e che è determinata dal Tu o dall’Esso. Se dico Tu, sarò quell’Io che si accoppia al Tu; se dico Esso, sarò quell’Io che si accoppia all’Esso.

In altri termini, a seconda di come etichetto il mondo, anche il mio Io cambia. Il tipo di etichetta che appiccico sull’altro, comporta automaticamente il tipo di etichetta che appiccico su di me. Ad esempio, se etichetto l’altro come “superiore”, etichetto me come “inferiore”; oppure, se etichetto l’altro come “persecutore”, etichetto me come “vittima” Da questo concetto di polarità, quindi, ne deriva un’implicazione fondamentale, ovvero che il volto del mio mondo, siccome è in relazione con il mio atteggiamento, dice sempre qualcosa su di me: il mondo, in altri termini, è uno specchio! E questo secondo pilastro è di una portata incredibile: Buber riconosce profondamente la natura dell’essere umano come co-creatore della sua esperienza e della sua realtà personale.

Ma c’è un terzo pilastro che merita di essere ricordato e che mi preme evidenziare. Buber continua dicendo:

La vita dell’individuo non consiste solo in attività che hanno qualcosa per oggetto. […] tutto questo indica e fonda il regno dell’Esso; ma il regno del Tu ha un altro fondamento. Chi dice Tu non ha qualcosa per oggetto, poiché dove è qualcosa, è un altro qualcosa; ogni Esso confina con un altro Esso: Esso è tale solo perché confina con un altro. Ma dove si dice Tu non c’è alcun qualcosa: il Tu non confina; chi dice Tu non ha alcun qualcosa, non ha nulla ma sta nella relazione.”

Con questo passaggio, Buber manifesta il cardine del suo pensiero che ha a che vedere con il riconoscimento del valore della relazione. Il mondo ha due volti a seconda dell’atteggiamento con cui l’essere umano si pone. Ponendosi al mondo dicendo Esso (o Lui o Lei) l’individuo incontra oggetti, incontra cose, e quindi abita il regno dell’Avere; ponendosi al mondo dicendo Tu, l’individuo, invece, entra in relazione, dove non c’è qualcuno o qualcosa, perché nella relazione l’individuo abita il regno dell’Essere.

Io-Tu, quindi, mette l’individuo nell’esperienza dell’Essere; Io-Esso, invece, mette l’individuo nell’esperienza dell’Avere. E, ovviamente, non è sbagliato avere e non è sbagliato maneggiare oggetti e cose: anche Buber sostiene che “Ognuno vive nell’Io dal duplice volto”; ma, certamente, se l’individuo vuol fare esperienza dell’essere, se vuole fare esperienza del suo essere persona, questo è possibile solo rapportandosi con le altre persone, cioè incontrando il mondo come Tu. Nella relazione, nell’Io-Tu, l’individuo sperimenta il senso di connessione, sperimenta che non c’è un mondo separato da lui, ma che è parte del mondo, e che la sua vitalità è la vitalità dell’esistenza stessa. Incontrando il mondo come Tu, l’individuo arriva a percepire la presenza dell’altro, fino ad intuire e percepire il senso della Presenza del Tu Eterno, o Dio; un Tu con cui si parla, sostiene Buber, e non un Tu di cui si parla. Anche l’esperienza del Divino, secondo Buber è, quindi, un’esperienza di dialogo e relazione.

Il pensiero di Martin Buber, quindi, ha un grande valore; e il suo Principio Dialogico ha segnato una serie di passaggi estremamente preziosi e non ancora sufficientemente assimilati. L’approccio fenomenologico gli è sicuramente debitore, ma le considerazioni trasmesse da questo filosofo sono una bussola per ognuno. Nei suoi saggi ci sono moltissimi altri concetti, profondi ed estremamente significativi, e il suo pensiero non si riduce certamente a questi miei brevi accenni; ma credo che questi tre punti che ho evidenziato siano proprio il minimo che dovremmo trattenere con gratitudine da questo grande pensatore per fare della nostra vita un’esperienza all’altezza del nostro valore come esseri umani:

  1. siamo artefici della nostra esperienza;
  2. il mondo è uno specchio;
  3. e la vita, intesa come esperienza dell’Essere, è Dialogo e Relazione.