A qualcuno piace tagliente; e mi riferisco, ovviamente, alla comunicazione. È una forma, a volte sottile, ma pur sempre di violenza.

Prendo spunto da un articolo pubblicato qualche giorno fa dalla prof. Fonte, dal titolo “A qualcuno piace povera”. In quel articolo, la prof. Fonte illustra brillantemente i rischi, anche a livello di capacità cognitive, dell’impoverimento lessicale nella comunicazione attuale.

La comunicazione è certamente un processo complesso, governare il quale è particolarmente difficile a causa di molti fattori. Oltre al lessico e alle parole che usiamo, un elemento di primaria importanza è l’aspetto emotivo che accompagna costantemente l’esperienza della vita. Questo è il motivo per il quale il modello della Comunicazione affettiva pone l’attenzione, come priorità, alla dimensione “affettiva”, cioè “emotiva”, dell’interazione umana. In questo articolo, quindi, vorrei mettere l’attenzione su quest’altro aspetto che rischia di avere conseguenze negative nella nostra esperienza, e nella qualità delle relazioni.

Il problema

Ne ferisce più la lingua della spada”, viene ricordato nel Libro del Siracide (28,18); tutti sanno quanto male possono fare male le parole, ma nonostante questo spesso la comunicazione diventa “tagliente”. E a qualcuno piace tagliente proprio!

Ma perché la comunicazione può prendere una forma tale da ferire e fare a volte molto male?

Il motivo risiede nel fatto che chi comunica, in quel momento soffre per qualcosa che è successo all’interno della relazione (oppure anche per qualcosa che prescinde dalla relazione): in ogni caso, la comunicazione che ferisce è l’espressione di uno stato di malessere (o di insensibilità) nel quale, in quel momento, la percezione e la considerazione dell’altro sono negative.

E perché la percezione e la considerazione dell’altro possono diventare negative?

Nella teoria della Comunicazione affettiva, i motivi che portano ad una percezione negativa dell’altro all’interno di una relazione possono essere diversi, come ad esempio un problema che non si riesce a risolvere, oppure una reazione emotiva inaspettata di fronte a qualcosa che succede, oppure anche a causa di influenze esterne, di qualcosa che ci viene detto in merito all’altro (la cosiddetta zizzania). I motivi possono essere diversi, quindi, ma il risultato è lo stesso: in quel momento, la considerazione dell’altro può cambiare da positiva in senso negativo, e l’altro diventa un “cattivo”, un “egoista”, un “menefreghista”, un “traditore”, un “bugiardo”, ecc. ecc.

In quel momento, quindi, (1) stiamo male, (2) abbiamo un problema con l’altro e (3) lo giudichiamo negativamente per questo.

Il meccanismo istintivo

Come si gestiscono normalmente queste situazioni?

La maggior parte delle volte, le situazioni nelle quali abbiamo un problema con qualcuno sono gestite purtroppo dall’onda emotiva del momento. Dico “purtroppo” perché l’onda emotiva del momento è proprio ciò che trasforma la comunicazione in senso ostile, o tagliente, o dispregiativa, impedendo una risoluzione della situazione, e semmai peggiorandola anche di più in un circolo di escalation con l’altro.

Il fatto che purtroppo non viene considerato in quel momento è che l’onda emotiva non è veramente causata da ciò che è accaduto, ma dal significato che abbiamo attribuiamo a ciò che è accaduto. In quei frangenti, il malessere è quasi sempre causato dalla difficoltà di comprendere ciò che è successo, per questo il meccanismo istintivo è quello di spiegarci l’accaduto con un “difetto” dell’altro, colpevolizzando in un qualche modo: è il modo più semplice e veloce, anche se il meno attendibile. Il meccanismo istintivo ci porta ad attribuire un significato arbitrario, non importa se corrispondente o meno, ma che “giustifichi” il nostro malessere.

In realtà, quindi, l’onda emotiva non è legata a quello che è successo, ma è generata da quello che “ci sembra” essere successo e sul quale, purtroppo, non abbiamo dubbi! Il resto, poi, viene da sé: l’onda emotiva, anche se fondata su un’impressione soggettiva, legittima in quel momento una comunicazione ostile, tagliente e dispregiativa.

Inoltre, peggiora ancor di più la situazione quel sottile piacere che deriva dalla convinzione (anche se basata su un significato arbitrario che abbiamo attribuito) di “avere ragione” e che ci rende in quel momento sordi e insensibili all’altro. I passaggi, quindi, sono:

  • Succede qualcosa che genera malessere.
  • Diamo la colpa all’altro, spiegandoci arbitrariamente ciò che è successo in termini di “difetto” dell’altro.
  • Cambiamo la percezione e la considerazione dell’altro in senso negativo e perdiamo la connessione positiva con lui o lei.
  • Ci sentiamo, allora, nella ragione e nel diritto di diventare ostili, taglienti o dispregiativi.
  • Spesso, è l’inizio della fine, a causa delle conseguenze nel cosiddetto “conto corrente emozionale” di una tale comunicazione.
L’alternativa possibile

Esiste un’alternativa? Per fortuna sì, anche se non è immediatamente istintiva. L’alternativa consiste in una modalità assertiva di gestione di tutte quelle situazioni nelle quali abbiamo un problema o un disagio con qualcuno. La Comunicazione affettiva ci raccomanda due passaggi fondamentali da ricordare:

  1. È meglio comunicare prima di “sparare”. Cercare di “farsi capire” con l’accusa, o cercare di chiarire un accaduto dando per scontato di avere ragione è semplicemente impossibile.
  2. È meglio riflettere prima di comunicare. La qualità della comunicazione riflette la considerazione che abbiamo dell’altro. È, quindi, stupido pensare di poter risolvere qualcosa con una comunicazione distruttiva o dispregiativa.

Il punto che può fare la differenza resta “il significato” che attribuiamo a qualcosa che è successo. La comunicazione diventa assertiva pertanto nel momento in cui salviamo quello spazio nel quale ci preoccupiamo di capire veramente prima di trarre conclusioni soggettive.

Se vogliamo coltivare e costruire positivamente le nostre relazioni, la morale, quindi, è quella innanzitutto di “imparare a comunicare” prima di “sparare” addosso all’altro: dopo, infatti, potrebbe essere troppo tardi, o non esserci più la possibilità di trovare qualcuno con cui dialogare.